Chi scrive ha una storia lavorativa che nasce nel 1996. Prima semplice collaboratore, poi impiegato, infine capoufficio in una piccola azienda.
Ma la mia esperienza lavorativa ormai è alle spalle, il mobbing che ho subìto ha avuto la conseguenza di farmi perdere il posto di lavoro, ed anche la salute.
Questo blog rappresenta soprattutto un diario, molto parziale, di ciò che mi è capitato.
In esso potrete trovare anche notizie interessanti, informazioni utili, consigli, ma nè questo blog nè altri possono sostituire il supporto di un avvocato specializzato in diritto del lavoro, oppure di uno psicologo. Il mio invito a quanti subiscono una situazione di disagio sul posto di lavoro è comunque quello innanzitutto di confrontarsi con altre persone che soffrono o hanno sofferto lo stesso problema: oggi lo si può fare molto facilmente anche attraverso Facebook, dove esistono - e sono purtroppo molto frequentati - gruppi che affrontano questa tematica.
Invito tutti i lettori a lasciare un commento, anche in forma anonima: più se ne parla, meglio è!

lunedì 11 settembre 2017

Il capolinea

Nel 2005 decido di acquistare una casa: ho qualche soldo da parte, un lavoro, una piccola entrata che mi deriva da un affitto: era una piccola proprietà ereditata.
La sfortuna vuole che, subito dopo il rogito, l’inquilino dia disdetta al contratto e se ne vada per sempre: non riuscirò più ad affittare, anche perché intanto sopraggiunge la crisi.
Sono così costretto a puntare tutto sul mio lavoro da dipendente: notevoli sacrifici per andare avanti, anche perché ho mediamente ben 500 euro di mutuo al mese da pagare.
Accade però che, come qualcuno di voi sa, io quel lavoro lo perdo, nonostante ci abbia messo l’anima: è come se il destino si accanisse contro di me. Siamo nel 2012. La paura si impadronisce di me: ho una famiglia a cui pensare.
Sono costretto a vendere quella proprietà che affittavo, perché diversamente perderei la casa. Nel 2013, anche con quei soldi, intraprendo la mia nuova attività: tanto impegno e speranze, e anche un buon riscontro nella clientela. Ma ci vuole tempo.
Le mie scadenze non attendono. Il mio mutuo ha rate trimestrali: a febbraio, maggio, agosto e novembre. Esattamente come le scadenze dell’Inps. Così, ogni 3 mesi, mi tocca pagare 2400 euro. Ed io non riesco a mettere da parte quei soldi.
Qualcuno si chiederà come è finita la mia causa per mobbing. Ebbene, sono stato costretto ad accettare una transazione oltremodo ingiusta e penalizzante: pochi spiccioli, perché l’alternativa era attendere anni, e quando hai difficoltà a fare la spesa, aspettare è un lusso che non ti puoi permettere.
Ora la realtà è che non ho i soldi per pagare la prossima scadenza. Mi sono prefigurato più volte questo momento, ma ho sempre cercato di scacciarlo dalle mie fantasie. Poi la realtà ha preso il sopravvento: ho cominciato a non dormire più, ad avere palpitazioni, incubi, come accadeva quando subivo il mobbing. Solo che prima avevo un nemico, un responsabile certificato a cui attribuire la causa dei miei tormenti. Ora invece me la prendo con me stesso, mi chiedo cosa abbia sbagliato, perché, nonostante tutto, non riesca ad assicurare tranquillità e pace alla mia famiglia.
Non riesco a chiedere aiuto a chi potrebbe darmelo. Mi vergogno. Mi vergogno per mio figlio, che non riesco a guardare negli occhi. Eppure io ho aiutato chiunque mi abbia chiesto aiuto, anche quando era davvero un sacrificio serio poterlo fare.
Ho paura, e sono solo.

sabato 30 aprile 2016

Soli contro il mobbing


Dopo anni, fra dieci giorni rivedrò il mio aguzzino. Davanti a un Giudice per fortuna.

Molte volte in tutto questo tempo ho rivissuto i momenti peggiori, ma mai come in questo periodo li avverto vivi, come se ancora io fossi lì a subire.

Poche persone conoscono nel dettaglio quello che mi è accaduto. Mia moglie certamente, come pure il mio avvocato, che è molto documentato su ogni singolo evento accadutomi.

Eppure nessuno SA, neanche loro sanno, veramente quello che io ho davvero provato in quelle lunghe giornate, in quell’ufficio, in quel contesto così surreale.

Ognuno è portato a conservare le proprie esperienze e a vivere come proprie quelle degli altri. Così ogni cosa che accade a sé o agli altri è vissuta e interpretata con la propria sensibilità e, pur nella capacità empatica propria di chiunque, per i riflessi che si avvertono nella propria sfera di emozioni e percezioni.

Mia moglie sa che ho sofferto, lo sa anche il mio avvocato. Ma non sanno fino in fondo cosa ho provato, non potranno saperlo mai.

Quando di notte mi svegliavo nel panico e sfioravo la mano di mia moglie, che intanto dormiva, per cercare una salvezza in quel contatto… no, non può sapere quanto fosse angosciante, e a al tempo stesso un piccolo sollievo, in attesa che la tortura cominciasse.

Non perdo tempo a spiegarlo, quasi voglio conservare questa sensazione così com’è. La solitudine assoluta in una situazione senza via d’uscita.

E se nessuno può capire fino in fondo, nessuno può aiutare davvero.

In teoria potrebbe chi SA, chi ha subito quello che ho subito io.

Ma se c’è quel qualcuno, è svuotato di energie quanto me. Quanto me che posso capire gli altri, ma a mia volta posso aiutare poco.

Nel gruppo che frequento non si parla più, io stesso non lo faccio da tempo. Ognuno è ricurvo su se stesso, sulle proprie angosce irrisolte.

Il mobbing è morte.

domenica 22 febbraio 2015

La ruota che gira

Vi ricordate di Giuditta? Beh, se andate a rileggere fra i primissimi post, la troverete come una protagonista della storia: la mia ex collega con cui avevo diviso gioie e dolori per diversi anni, fino al momento in cui fui fatto fuori dall'ufficio. Da quel momento in poi mi aveva voltato le spalle: mi evitava in ogni modo, non mi salutava più, nei confronti del mobber ostentava in ogni modo possibile il fatto che non avesse più alcun rapporto con me.
Preciso che comprendo benissimo questo comportamento. Se si ha a che fare con un capo con seri problemi di salute mentale, è logica conseguenza comportarsi nel modo che si ritiene opportuno per conservare il proprio posto di lavoro. Quello che però non riuscivo a digerire era il fatto che questo comportamento fosse tale anche fuori dall'orario di lavoro: e io mi trovavo in quella situazione anche, anzi soprattutto, per causa sua. Eppure ero stato cancellato, completamente, definitivamente: nessuna scusa, nessun pentimento, nessun dispiacere per ciò che mi stava capitando. Solo allegre risate col mobber mentre io ero solo fra quattro mura, in completo isolamento.
Chi ha letto i post recenti sa che mi sono completamente risollevato da quella situazione. Ora mi sono messo in proprio ed ho raggiunto lo stesso livello professionale del mobber, con la differenza che i miei collaboratori sono trattati, sia dal punto di vista umano che economico, come meglio non potrei permettermi di fare.
Giuditta invece, alcuni mesi fa, ho saputo che è stata licenziata, di punto in bianco, senza alcun preavviso. Me lo aspettavo, e verso la fine del 2010 glielo avevo anche pronosticato in una concitata telefonata. Devo onestamente dire che la notizia non mi ha fatto piacere: la poverina ha fatto veramente di tutto per quel posto di lavoro, fino a vendersi l'anima, ma non è bastato. E' una vittima anche lei in fondo.
Le auguro sinceramente di trovare lavoro: so cosa si prova quando le cose vanno male. Intanto però osservo che la ruota, come spesso si attende invano, a volte invece gira, e alla fine ciò che siamo non dipende solo dalla cattiveria degli altri, ma anche e soprattutto da ciò che seminiamo nella vita.

domenica 10 agosto 2014

Obiettivo felicità!

Ne è passato di tempo, e posso dire di aver vinto contro il mobbing.
Non ho ancora vinto una causa, ma ciò che mi importa veramente è esserne uscito: la mia vita ora è fatta di nuovi obiettivi, di rinnovate speranze, di nuove soddisfazioni professionali, e soprattutto di una grande voglia di vivere.
 
Di questo periodo terribile non butto via tutto, anzi! Qualsiasi esperienza, anche la peggiore, può offrirci la possibilità di conoscere meglio noi stessi e gli altri, può aiutarci a superare meglio le difficoltà future, può insegnarci a dare il giusto valore alle cose. Per esempio, nelle difficoltà si impara davvero cosa sia l'amicizia, quella cosa che appare così scontata quando le cose vanno bene. Credo che, sotto molti aspetti, oggi io sia una persona migliore di quella che ero.
 
La vita è fatta di problemi, ogni giorno ne dobbiamo affrontare qualcuno. Quando però si presenta un problema grosso, inaspettato, rispetto al quale siamo impreparati, andiamo nel panico, ed è quello che avviene col mobbing. Una chiave per superare il problema è lavorare su noi stessi, per limitare paure incontrollate e decisioni sbagliate.
 
Il nostro fine nella vita deve essere uno: la felicità. E' forse un'utopia raggiungere questa destinazione, ma è un nostro sacrosanto diritto, ed anche un dovere, provarci. Forse non ce la faremo, ma sapere che andiamo in quella direzione, e che siamo entusiasti di farlo, ci fa godere di ogni piccolo progresso. E quando qualcuno, ingiustamente, si pone di traverso lungo il cammino verso questo obiettivo, dobbiamo trovare gli strumenti per superare l'ostacolo, e dobbiamo farlo in fretta, perché il tempo è merce più preziosa del denaro.
 
Spesso nella vita i problemi dipendono da noi stessi, dalla nostra incapacità di adattarci alla realtà, da modi di essere e di vedere le cose che ci appaiono come giusti, ma in realtà non lo sono. Di fronte ad ogni situazione critica la prima domanda che dobbiamo porci è: "E' colpa mia?" Se, anche soltanto in minima parte, la risposta è si, dobbiamo lavorare su noi stessi per modificare quanto di sbagliato abbiamo posto in essere. Poi, sarà entusiasmante osservare quanto sarà migliorata la nostra vita.
 
Se invece non abbiamo responsabilità, se il problema deriva dal contesto in cui viviamo e da decisioni prese da altri, dobbiamo tentare di modificare questo stato di cose. Dobbiamo usare l'arma della ragionevolezza e della persuasione. Può ovviamente non bastare, e di norma non basta nel caso del mobbing dove il problema non è affatto casuale, ma è anzi creato ad arte per metterci in difficoltà. In ogni caso affrontare la situazione in modo aperto e senza mostrare paura può solo avere effetti positivi: darà forza a chi ha a sua volta paura, e dimostrerà il nostro valore come persona. Soprattutto sarà il modo per non dare soddisfazione al mobber, il quale invece di norma gode nel vedere i segni della sofferenza nelle sue vittime. 
Ma ciò che è importante davvero fare è cercare di capire se questa situazione può avere vie d'uscita positive. Se la risposta è no, dobbiamo pensare che il nostro obiettivo non sarà raggiunto. Allora io dico che se non abbiamo la possibilità di modificare la realtà, abbiamo il dovere di uscire da quella realtà, e dobbiamo trovare il coraggio per farlo. L'alternativa, d'altra parte, è resistere in una situazione in cui le nostre forze tendono inevitabilmente a diminuire, e, quanto più deboli siamo, tanto più è facile venire schiacciati dai nostri nemici, che altro non aspettano. Andarsene non è una sconfitta: è la nostra immediata sopravvivenza, è la possibilità di riorganizzare le forze e prendersi una rivincita, professionale e legale.
 
Il mobbing si presenta sempre allo stesso modo, ma ogni situazione è un caso a sé. Una ricetta per uscirne che valga sempre e per tutti non può esistere, ma credo che sia importante individuare le nostre priorità e le armi di cui disponiamo, per compiere scelte coerenti.
La mia idea è che il fine della vita non è la sopravvivenza, non è resistere alle vessazioni, non è diventare dei martiri. Se siamo convinti che c'è qualcosa di molto più grande e affascinante da chiedere al nostro futuro, le decisioni ed i comportamenti che deriveranno da questa consapevolezza basteranno per farci uscire dalla palude in cui siamo costretti. 
 
 
 

sabato 21 dicembre 2013

E' tempo di auguri


Spesso, aspettare che il fiume porti via il cadavere del proprio nemico è una attesa che si rivela inutile. La realtà si dimostra troppo spesso ineluttabilmente distante da ciò che il sentimento di giustizia, che alberga in ciascuno di noi, avverte come doveroso e opportuno. Ma accade anche, a volte, che il destino si prenda e ci dia delle soddisfazioni: e quando avviene è giusto condividerle.
La realtà aziendale in cui lavoravo era in piedi grazie ai numeri che faceva. Che faceva grazie a me, e grazie ad alcuni altri che sono stati fatti fuori, nello stesso modo – vile e ingiusto – che è toccato a me. Ora accade che quella realtà abbia numeri ben diversi. Che la pongono in basso nella classifica: esattamente all’ultimo posto.
La mia nuova attività è diretta concorrente del mio vecchio aguzzino. E ora sto cominciando a vincere io.
Il mio augurio per questo Natale e per il prossimo anno, è che altrettanto accada a chiunque, ingiustamente vessato, capiti su questa pagina per trarne un conforto.

venerdì 19 luglio 2013

Impressioni di un Anonimo

Steve: alcuni commenti meritano di essere messi in evidenza.

"Non so come sono arrivato a questo punto, ma ci sono arrivato.
Probabilmente è colpa della mia educazione. È sicuramente colpa dei miei genitori che mi hanno educato nella regola “stai sempre dalla parte dei più deboli”.
Grave errore. L’ho scoperto qui. Almeno per due motivi:
1. I più forti faranno di tutto per spezzarti
2. I più deboli non è detto che siano anche i più buoni.
Il primo punto mi ha sempre stimolato. Lottare per ciò che è giusto mi è sempre piaciuto. Ho sempre cercato il potere nella ragione, ed avere ragione mi dava un senso di appagamento difficile da spiegare. Mai con cattiveria. Sempre nel completo Fair Play. Perdere in questo campo comporta sempre l’aver imparato qualcosa di nuovo. Imparare dai forti ti rende migliore.
Ma il secondo punto mi ha devastato. Sconvolge i tuoi orientamenti, sgretola i tuoi riferimenti e ti getta in pieno deserto. Non riesci più a fidarti di nessuno e ti chiedi: “dove ho sbagliato?”
Ecco da dove è iniziato. È iniziato il giorno in cui ho cominciato a lavorare “per l’azienda”.
E allora pensi che sei tu ad essere sbagliato, che anche se hai una laurea scientifica non è detto che i tuoi conti sono esatti. Che anche se l’azienda butta denaro dalla finestra, non sei tu che devi risparmiare. La politica prima di tutto.
E allora impari.. Prima devi corteggiare le persone importanti, essere simpatico ed invitarli a cena, parlare di auto e di calcio. Devi entrare nella lobby vincente. Devi entrare tra i forti. Ma poi, tu stesso, sarai abbastanza coraggioso da voler cambiare?
Nessuno vuole cambiare. Nessuno vuole lavorare in modo diverso. Nessuno è soddisfatto del proprio lavoro.
Ma tu non sei così. Ti viene il voltastomaco dopo pochi minuti che fingi interesse nella partita di coppa mentre qualche operaio sta morendo di amianto. Non riesci a chiudere gli occhi di fronte al marcio. E neanche la bocca purtroppo.
E magicamente il cambiamento arriva. Di Gattopardiana memoria, il cambiamento c’è, affinché nulla cambi.
E tutti cambiano atteggiamento nei tuoi confronti. Resti solo e accerchiato.
Il tuo lavoro subisce una trasformazione che fa rabbrividire. Il fare tanto in poco tempo si è tramutato in fare poco in tanto tempo. Non hai più contatti né con clienti né con fornitori. Ti trovi a creare presentazioni che poi forse qualcun altro andrà a presentare, altrimenti resteranno lì abbandonate.
E più sgomiti, più mostri la tua inquietudine claustrofobica e più loro capiscono che stanno facendo un ottimo lavoro.
E allora ti adatti. Fingi un sorriso di chi non ha nulla da temere ed impieghi il tuo tempo a fare quello che prima non sopportavi vedere fare agli altri: solitari, sbadigli, internet.
Ma stai fingendo e lo sai meglio di tutti gli altri. Diventi paranoico e pensi che tutti siano contro di te. Tra te e te urli al complotto.
Pensi non solo che sei inutile, ma che stai perdendo le tue qualità che avevi faticosamente appreso in anni di università e di lavoro matto e disperatissimo. Che ogni giorno passato qui dentro ti rovina il futuro e ti brucia una settimana di conoscenze pregresse. E quando avrai azzerato le tue capacità sarai finalmente conforme al sistema e pronto a lottare contro il nuovo ragazzetto che tenterà di fare quello in cui tu hai fallito. Perché “anche lui deve imparare come si sta al mondo!”
Disgustato te ne vai a casa con una pietra di fango sulla bocca dello stomaco. Trovi scuse per saltare il lavoro. Vai a donare il sangue per avere un giorno di lavoro in meno e perché, in fin dei conti, è meglio dare il sangue per uno sconosciuto che per l’azienda.
Ti senti sporco. Sai che stai facendo il furbo e che meriti il licenziamento. E pensi “poco male”, ma non voi arrenderti. Anche se volessi non riesci più ad adeguarti, né ad integrarti.
L’orgoglio si fonde alla depressione, il bipolarismo lavorativo coesiste in te. Un giorno pensi che non può durare in eterno, ed il giorno dopo ti disperi perché non vedi la fine del tunnel. Ma in entrambi i casi, solo tu ne uscirai profondamente cambiato. Purtroppo in peggio"

mercoledì 22 maggio 2013

Oltre al danno, la beffa

La città in cui vivo non è piccolissima, ma neanche tanto grande: 25.000 abitanti. Non ci si conosce proprio tutti, ma io lo ero abbastanza per il lavoro che facevo, essendo a continuo contatto con la clientela.
Non avevo fatto i conti con "la gente". Il fatto di aver perso il lavoro non è passato inosservato: così in tanti si sono interrogati sui motivi. Ed ovviamente questo diventa un terreno fertilissimo per inventare storie e seminare sospetti.
Sono venuto a sapere di una voce che circola sul mio conto, e chissà da quanto tempo: io sarei stato "cacciato", per aver compiuto "operazioni illecite".
Al danno, dunque, si aggiunge anche la beffa, e fa molto male. Il mobbing che ho subito non è stato abbastanza, bisogna distruggermi non solo fisicamente, non solo economicamente, ma anche nella mia onorabilità, qualcosa che per una vita non era mai stata messa in discussione da nessuno.
"La gente" ovviamente non può sapere ciò che si consumava, ai miei danni, in quell'ufficio: e così il mio aguzzino passa per una persona rispettabile e stimata.